Bulimia da profilo professionale

Se guardo in rete mi rendo conto di quanto in quest’ultimo periodo tutti curino molto il proprio profilo professionale: chi sei, quanto hai studiato, dove, come, con chi. Dove hai lavorato, come, con chi, perchè. A differenza di un tempo passato nel quale, per reperire informazioni su una persona si chiedeva in giro, oggi nel momento in cui mandi una mail a qualcuno è meglio assicurarsi che i tuoi profili online siano coerenti, sistemati, ordinati, aggiornati.

Non come faccio io.

Dopo un’intervista al telefono la giornalista mi richiama per chiedermi come desidero comparire: e capisco che la presenza dei miei settanta profili in rete, ognuno diverso dall’altro, possa aver creato qualche confusione…

Allora mi si propone una riflessione più impegnativa: io, professionalmente, come mi chiamo?

Ritorniamo in qualche modo ad una considerazione del profilo professionale identitario: se io ho 70 profili differenti do l’idea di fare 70 cose diverse oppure di essere una professionista millefacce, non sempre in accezione positiva… Oppure ancora di fare tante cose talmente diverse da non riuscire a farne bene nessuna (sensazione personale molto vivida).

Pare, per fortuna, non sia così, ma credo che questo sia dovuto allo strano fatto che i miei interessi veri diventano, dopo un pò, attività lavorative. Cioè li coltivo a tal punto, da farmi delle vere e proprie nuove competenze da poter addirittura spendere in attività remunerate. E questo è un fatto che ormai si ripete da qualche tempo.

Non so dove metterlo nel mio profilo e non credo sia di qualche interesse per qualcuno. D’altra parte se nel 2002 scrivevo sociologa, oggi scrivo sociologa, ricercatrice sociale, consulente organizzativa, formatrice, blogger e, fra poco, social media strategist. Tutte cose diverse tra loro, tenute insieme dal fatto che sono sempre io a farle.

Insomma difficile riuscire a costruire il proprio profilo nel qui et ora, più facile trovare un filo conduttore definitivo. Finirò con lo scrivere “free lance”, individuando più o meno il campo (la ricerca sociale) e abbandonando definitivamente l’idea di poter descrivere compiutamente quello che si fa e come lo si fa.  Mi domando se non sia più importante oggi costruirsi una “reputazione”. In Linkedin per esempio: sono andata a dormire che ero sociologa e mi sono svegliata che un tizio, che naturalmente non conosco, aveva confermato le mie competenze come blogger e social media strategist.

Potrei sempre aspettare che qualcuno metta in ordine per me i miei profili.

Di fronte a questa fluidità penso a quali punti fermi costruirmi. Professionalmente parlando…

A proposito di indicibile del/sul lavoro.

 

 

 

 

Informazioni su diletta76

Ho iniziato con le ricerche di mercato e i sondaggi d'opinione e ho proseguito con la ricerca sociale. Mondi diversi in cui però ho potuto fino ad ora sempre sperimentare. Questa fase è ancora più ricca, se possibile, di opportunità e novità: vedo il blog Appunti di Lavoro come uno strumento di lavoro importante, che mi consente di confrontarmi con colleghi, di proporre progetti, analisi, punti di vista. In qualche modo di contribuire per una piccola parte alla ricerca, appunto, nella complessità del mondo in cui oggi viviamo.
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4 risposte a Bulimia da profilo professionale

  1. ondedeivittorio ha detto:

    Quando si parla di ‘profilo’, mi viene sempre in mente il bidimensionalismo dell’arte figurativa egizia ed allora immagino che i profili distribuiti in rete vadano a rappresentare un quadro multiforme, ma tendenzialmente poco profondo (pratico, espressivo, pragmatico…), che aspira ad una semplicità nel descrivere e nel comprendere -e poi però rincorre l’inevitabile complessità del nostro essere umani, con tutte le relazioni, i transiti istituzionali, le scelte, gli adattamenti, le trasformazioni…

  2. Pingback: Il lavoro semisommerso di chi fa consulenza: elaborare, fare rete, comunicare. | Mainograz

  3. Alberto Ponza ha detto:

    DIletta grazie per il post…è risuonato come un prezioso suggerimento…ho subito modificato delle informazioni di me! Da un lato penso che nella ricerca di lavoro l’identità professionale sia rappresentata dalla persona (con competenze e motivazioni) e dal suo CV (non necessariamente pubblico)…è anche vero che l’immagine di noi che passa attraverso i social network potrebbe condizionare gli altri nell’avvicinarci (essere tuttologi non necesariamente paga in un mondo di specializzazione…anche se professioni di base non necessariamente sono prive si specializzazione). Sono disper-confuso…esco!

  4. Mainograz ha detto:

    L’ha ribloggato su Mainograze ha commentato:

    Domande tra l’esigenza di curare il personal branding e una certa disper-confusione (dispersione-confusione e non disperata-confusione) che la varietà di luoghi, possibilità e connessioni 2.0 genera.
    In ogni caso Diletta Cicoletti ci impiglia sulla questione dell’identità professionale (delle identità professionali?) e sulle connotazioni che il lavoro (si) prende in questo tempo incomprimibilmente digitale.
    Mi viene voglia di scrivere.
    Non posso.
    Devo tornare al lavoro.
    :-)

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