Creare lavoro, nella società senza lavoro

<<Avete fatto un buon acquisto: questa macchina sostituisce tranquillamente il lavoro di tre persone!>> mi dice il tecnico installatore che ha portato l’attrezzatura in cooperativa sociale, pochi giorni addietro.

No, mannaggia, non sono queste le parole giuste da dire. In quante occasioni le avrò sentite? Non lo so, ma mi ricordo la prima…

I robot del Cumenda

Sono cresciuto nel paese dove il Cumenda, Giovanni Borghi, fondò la IGNIS.

Tutti, in quel luogo di duemila anime, lavoravano per lui.

Avrò avuto cinque o sei anni e, con mio padre, mi trovavo al Bar Circolo Cooperativa.

Si, non vi paia strano, non ero mica l’unico bambino!

L’appuntamento al Circolo era d’obbligo per ogni lavoratore del paese al termine della giornata e se, a volte, passando di casa, la moglie faceva presente un impegno o un imprevisto, per cui si poteva determinare una necessità di cura congiunta della prole…bè, il problema era brillantemente risolto portando il figlio al Circolino.

Va detto che il luogo era frequentato da persone di ogni età e classe sociale e, a parte la fumosità dell’ambiente nelle stagioni fredde, non vi erano controindicazioni di sorta per i minorenni.

Anzi, lì conobbi molte persone interessanti e molto sagge, rimediando nel contempo abbondanti bicchieri di Spuma.

Una sera, in crocchio con mio padre ed altri, c’era Michele, un operaio dei più giovani, uno che aveva anche studiato e che, quel giorno, aveva assistito ad uno spettacolo incredibile: l’installazione di uno dei primi robot nella linea della catena di montaggio.

I suoi occhi si illuminavano mentre raccontava e mimava a gesti, con le mani a simulare il robot: << Allora, c’è un primo braccio che, con i suoi artigli, prende il pezzo dalla linea, esegue la saldatura e lo passa al secondo braccio, che soffia e sbava e lo rimette in catena…>> Michele era entusiasta <<…il lavoro di tre operai nella metà del tempo! >>.

A quel punto intervenne Peppo B.[1], prendendo Michele a braccetto.

<<Ascolta>> disse <<quanti siamo qua dentro? Quaranta? Cinquanta? Quanti sono quelli che non lavorano con noi?>>

Silenzio. Tutti lavoravano per il Cumenda.

<<Bene>> continuò Peppo B. <<A chi di loro diciamo: da domani non venire più; c’è il robot, non servi più?>>

 

I dilemmi esistenziali delle cooperative sociali

Le cooperative sociali di tipo B, quelle che si occupano di inserimento lavorativo di persone svantaggiate, sono nate e cresciute in settori di bassa specializzazione ad alta intensità di manodopera: gli assemblaggi, la manutenzione del verde, le pulizie…

Oggi, questi settori non garantiscono più una sufficiente remunerazione del lavoro.

Punto.

Occorre rinnovarsi e, per chi ci riesce, investire in settori più redditizi, complessi, ad alta qualità di produzione.

Settori dove però il tasso tecnologico cresce moltissimo, dove grandi investimenti sono necessari per la creazione di poche mansioni lavorative altamente qualificate (quindi, se parliamo di postazioni per persone svantaggiate: pochissimi posti di lavoro).

E’ una delle facce della medaglia che ci descrive spesso Pierluca Borali negli incontri di “Appunti”: a differenza di quanto accadeva nella società descritta dalla teoria economica classica, oggi ricchezza e lavoro sono due entità sempre più scollegate.

Finanzia, globalizzazione e, appunto, tecnologia, concorrono a determinare il paradosso del lavoro nella società del non lavoro; ma anche fenomeni più vicini al sentire della cooperazione, come l’economia dello scambio e del baratto, la logica sharing e quella open non brillano per intensità di manodopera impiegabile…

Speriamo ne scriva presto, Pierluca: sentirlo parlare è sempre illuminante, e leggerlo aiuterebbe a analizzare e metabolizzare un po’.

Non che si possano modificare tendenze storiche globali, ci mancherebbe, ma capirle meglio aiuterebbe anche a gestire i propri dilemmi esistenziali di cooperatore in mezzo al guado.

“Sa’l custa?” (Quanto costa?) era la frase tipica del Cumenda: l’avrà pronunciata anche di fronte al Robot.

“Quanto ci costa?” ce lo chiediamo anche noi cooperatori, e mettiamo nel conto anche gli operai che non potremo più assumere…

 

[1] Lo so, qui Wikipedia non mi può soccorrere, si occupa solo di persone famose…ma è un peccato, ci vorrebbe un’analoga Wiki per le straodinarie persone comuni, perché Peppo B. era proprio uno di quei personaggi incredibili che si incontravano nei circoli cooperativi, e merita una breve digressione: operaio nel reparto cucine della fabbrica del Cumenda, alpino, custode dei segreti della terra, musicista cardine della locale filarmonica.

 

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2 risposte a Creare lavoro, nella società senza lavoro

  1. stefano delbene ha detto:

    “Per ancora molte generazioni l’istinto del vecchio Adamo rimarrà così forte in noi che avre­mo bisogno di un qualche lavoro per essere soddisfatti. Faremo, per servire noi stessi, più cose di quante ne facciano di solito i ricchi d’oggi, e saremo fin troppo felici di avere limi­tati doveri, compiti, routines. Ma oltre a ciò dovremo adoperarci a far parti accurate di que­sto “pane” affinché il poco lavoro che ancora rimane sia distribuito fra quanta più gente possibile. Turni di tre ore e settimana lavorativa di quindici ore possono tenere a bada il problema per un buon periodo di tempo. Tre ore di lavoro al giorno, infatti, sono più che sufficienti per soddisfare il vecchio Adamo che è in ciascuno di noi”
    J.M. Keynes “Possibilità economiche per i nostri nipoti” (Conferenza tenuta a Madrid nel Giugno 1930 oggi in “La fine del laissez faire ed altri scritti” Boringhieri 1991)

  2. matteoloschiavo ha detto:

    Circolini, il fumo delle sigarette, biccheri di spuma e tavoli da biliardo. Grazie Davide per questa evocazione di un tempo passato che è parte delle nostre biografie e della memoria collettiva.
    Il titolo del tuo post, il suo contenuto e le atmosfere evocate mi fanno pensare, complice l’altro tuo post sulla colonna sonora lavorativa, alla strofa di una canzone che mi accompagna in questo periodo:
    “io vorrei assumere e creare lavoro,
    Ma qui fanno business solo i compro oro,
    E le sale da gioco,
    Io invece vendo fuoco,
    Ma porto i scarp del tennis e parlo da solo,
    Parole al vento all’80%
    Per capire certe cose ci vuole orecchio…”
    Desolato, del gigante Enzo Jannacci insieme a J-Ax.

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